Il bilanciamento tra diritti fondamentali e innovazione tecnologica: il caso dell’Intelligenza Artificiale

Nella storia recente i partiti tradizionali e la Pubblica Amministrazione hanno perso la battaglia digitale: non sono riusciti a cogliere tempestivamente i benefici della rivoluzione tecnologica.

 

L’economia e la società sono costantemente chiamate a rispondere alle sfide digitali e l’Intelligenza Artificiale (IA) è una di queste.

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Con la repentina e sempre più ampia diffusione dell’Intelligenza Artificiale si è di fatto acceso il dibattito tra istituzioni e attori privati relativamente agli aspetti etici e giuridici connessi alla sua applicazione. Autorevoli studiosi del diritto come i Professori Oreste Pollicino e Marco Bassini, in più occasioni, hanno sottolineato come la società dell’informazione sia ormai diventata la società dell’algoritmo, in cui l’aspetto più rilevante è la relazione che intercorre tra uomo e macchina.

L’applicazione dell’IA nei sistemi informatici o di videosorveglianza, fenomeno sufficientemente diffuso, solleva alcune questioni circa i requisiti di ammissibilità, le condizioni e le relative garanzie. In particolare, l’impiego dell’IA nei sistemi di videosorveglianza spinge a sviluppare riflessioni giuridiche e considerazioni etiche, facendo ricorso a due teorie formalizzate in letteratura, che si distinguono in deontologiche e teleologiche.

 

Il fragile equilibrio tra interesse pubblico e diritti fondamentali

 

Secondo le teorie etiche deontologiche, che sono coerenti con i principi su cui poggia lo Stato di diritto, e proprio quell’insieme di regole ne costituisce il fondamento giuridico, un interesse pubblico incontrerà dei limiti quando si tratta di ledere un diritto fondamentale dell’individuo. È la ragione per cui sono crescenti le preoccupazioni circa le minacce e i rischi che  derivano dal ricorso al riconoscimento biometrico nei sistemi di videosorveglianza, perché consente di identificare con semplicità e in modo univoco un individuo, confrontandone e analizzandone i caratteri fisiognomici. Quindi, l’eventuale introduzione dei sistemi di IA potrebbe rappresentare una violazione del diritto alla riservatezza. E anche invocando la sicurezza nazionale, interesse che i Governi fanno spesso prevalere quando ci si trova dinanzi a specifiche circostanze o si opera in settori strategici, non si può chiaramente annullare qualsivoglia diritto fondamentale, men che meno quello alla privacy.

 

Quando a prevalere è l’interesse pubblico, il fine giustifica i mezzi?

 

Le teorie etiche teleologiche giustificano l’introduzione di un atto normativo che ha lo scopo di ottenere ciò che il policymaker considera il miglior risultato possibile, indipendentemente dalle modalità con cui è conseguito. Quindi, si può limitare un diritto o una libertà in nome di un maggiore benessere collettivo. Nella fattispecie in esame, laddove si accerti che la sicurezza nazionale, che può legittimamente rappresentare un interesse pubblico, sia preminente, il diritto alla riservatezza sarà di conseguenza subordinato ad essa. Tuttavia, occorre tenere a mente un importante aspetto: non si può invocare con superficialità il principio di precauzione, perché, se non temperato dal principio di proporzionalità, si rischia di travolgere lo Stato di diritto.

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Come giungere a una soluzione?

 

È pacifico che vi siano dei limiti che gli interessi pubblici incontrano quando si tratta di violare un diritto fondamentale della persona. Dall’altra parte, ci sono dei limiti che la tutela dei diritti individuali incontra quando vengono in rilievo importanti interessi pubblici. Il problema si riconduce al bilanciamento, che deve essere trovato dalla legge. E qui, occorre individuare una platea sufficientemente qualificata di istituzioni pubbliche che garantiscano questo reciproco bilanciamento. È sottile il limite tra la sorveglianza finalizzata a tutelare la sicurezza pubblica e la concreta possibilità che, facendo ricorso al riconoscimento biometrico, si possa accedere a informazioni che poco hanno a che fare con le ragioni per cui esso è stato effettivamente introdotto. Costruire le società liberali e democratiche è stata una scelta importante. Correre il rischio di oltrepassare il confine sottile al di là del quale si instaura una società della sorveglianza è una scelta altrettanto rilevante, con il conseguente pericolo di tradire i valori fondanti dei sistemi democratici.

Come ha scritto più volte il Professore Pasquale Annicchino sulle pagine del quotidiano Domani, è la stessa storia recente che racconta come l’applicazione dell’Intelligenza Artificiale ai sistemi di videosorveglianza in Cina o anche gli Stati Uniti sia funzionale al monitoraggio e alla sorveglianza digitale delle minoranze religiose per ragioni di sicurezza nazionale, subordinando ad essa il diritto alla riservatezza e la libertà religiosa.

Non esiste una risposta a priori. Tutto dipende dall’uso che si fa di una tecnologia, dal rango dell’interesse pubblico che di volta in volta viene in rilievo, nonché dal rapporto che intercorre tra l’interesse pubblico e il diritto individuale di volta in volta a rischio di lesione. A seconda dell’uso che si fa dell’Intelligenza Artificiale, questa va a interferire e scontrarsi con altri diritti soggettivi, tutti ugualmente fondamentali. L’intervento legislativo e regolatorio non deve rappresentare un ostacolo alla forza travolgente dell’innovazione, che rappresenta la forma più nobile della concorrenza, ma deve limitarsi alla definizione dei livelli di tutela, coerentemente con i diversi profili di rischio. Dall’altra parte, le imprese che forniscono questi servizi sono chiamate a garantire elevati standard di sicurezza e trasparenza nell’ambito dell’acquisizione e trattamento dei dati personali.

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