Quando i data incontrano la città. Il caso Milano

Logements, loisirs, travail et circulation.

Queste le quattro aree in cui dovrebbe essere divisa la città ideale secondo il maestro dell’urbanismo moderno Le Corbusier. Ma mezzo secolo dopo è tutt’altro che semplice districarsi nella complessa architettura legislativa di POR e PUMS e PRGC – Piano Operativo Regionale, Piano Urbano della Mobilità Sostenibile, Piano Regolatore Generale Comunale – che, a detta di alcuni esperti, non riescono più a rispondere alle nuove sfide cui sono sottoposte le città. Trend demografici, polarizzazione delle risorse e della popolazione verso le città, crescente domanda energetica e adattamento climatico sono solo alcune delle sfide a cui i decisori politici e gli urbanisti sono chiamati a rispondere nei prossimi anni.

La delocalizzazione degli anni Novanta, che ha testimoniato la trasformazione da logica dei distretti produttivi alla costruzione di catene internazionali del valore, sta portando alcuni a suggerire la necessità di realizzare la “città dei 15 minuti”, evocata esattamente un anno fa dalla Sindaca di Parigi, Anne Hidalgo. Questa visione d’oltralpe è stata presto condivisa anche dalla città di Milano, nel documento “Milano 2020”.

Ad alimentare il vento del cambiamento, ci ha pensato inoltre l’attuale pandemia globale che, volente o nolente, ci spinge a una corsa ai ripari o, per meglio dire, a una riorganizzazione anche in senso tecnologico del nostro stile di vita. Da un lato costringendoci ad equipaggiarci di nuovi devices digitali e ad utilizzarli più e meglio di quanto eravamo pigramente abituati a fare. Dall’altro, la limitazione della nostra libertà di circolazione ridimensiona sensibilmente il concetto di prossimità.

Come coniugare tutto questo?

Il paradigma della smart city sembra incarnare quel sogno di speranza, progresso ed armonia che accomuna i più lungimiranti imprenditori, i più brillanti ingegneri e i più visionari politici. Prendiamo ad esempio la “Milano Smart City”, dal nome del documento approvato dalla Giunta Comunale già nel lontano 2014, che ambisce a “coltivare la competenza tecnologica e coniugare sviluppo economico e inclusione sociale, innovazione, formazione, ricerca e partecipazione”. Milano è tra le migliori città italiane in termini di numero di aziende e start up, qualità del prodotto, presenza di FabLab, makerspace e spazi di produzione. Senza dimenticare il piano Post Expo del 2015: “Human Technopole Italy 2040”, il super centro di ricerca su genomica, big data, nutrizione, cibo e sostenibilità che, assieme al campus dell’Università Statale di Milano e al nuovo Ospedale Galeazzi, forma il MIND – Milano Innovation District.

Una candidata perfetta, almeno sulla carta, per diffondere quel “Datismo” citato da Y. N. Harari in “Homo Deus. Breve storia del futuro” in cui creare un sistema di elaborazione dati onnicomprensivo e interconnesso, che sappia convertire i Big data in Smart data.

Milano potrebbe anche aspirare ad essere la prima città italiana ad entrare nel network “Fab City 2054”, l’iniziativa globale che promuove il ritorno della produzione all’interno delle città, disancorandosi dal paradigma industriale del “Product-in, Trash-out”. Questa visione, supportata da un modello “DIDO: Data-in Data-out”, prevede che la città debba importare ed esportare principalmente dati, rientrando nella strategia più generale di creazione di una rete globale di città. Questo ecosistema sostenibile di produzione e di conoscenza ha il fine di riallocare gli effetti della globalizzazione e di offrire nuovi mezzi di produzione e innovazione ai cittadini, ancora considerati il cuore della trasformazione della città.

Da cornice a questo scenario non potranno naturalmente mancare l’efficientamento energetico di edifici e quartieri, i network di energia sostenibile – le smart grid, la mobilità elettrica, l’agricoltura urbana, le infrastrutture intelligenti e le politiche urbane data driven supportate da approcci legali altrettanto avveduti in termini di regolamentazione dell’uso dei dati e del rispetto della privacy.

Tuttavia, dopo quasi 7 anni aver varato il piano della città più smart d’Italia, manca ancora, di fatto, un sistema organico che permetta l’attuazione di questi obiettivi, mentre ci si affaccia alla ricerca di best practices internazionali da imitare a livello locale. L’ultima risposta dell’amministrazione Sala, in tal senso, è il nuovo “Piano del Governo del Territorio (PGT) Milano 2030”, divenuto efficace con l’approvazione definitiva a febbraio 2020. Le sue 5 “Strategie e vision per il futuro della città” e le 3 aree di intervento (ambiente e cambiamenti climatici, periferie e quartieri, diritto alla casa e affitti calmierati) seguono i capisaldi del piano: inclusione e innovazione.

Non resta che vedere se questo documento sarà in grado di riorganizzare le dinamiche spaziali e se l’amministrazione comunale – soprattutto in vista delle prossime elezioni – avrà il coraggio di aprire a una stagione di politiche metropolitane innovative integrando mobilità, benessere fisico e mentale, sistema produttivo e ambiente. Con un occhio di riguardo alla sempre più attenzionata Agenda 2030 e colmi di aspettative per le Olimpiadi Milano Cortina 2026.

Bene sul fronte della sostenibilità, ma le policy sui data?

Le amministrative meneghine, a meno di un peggioramento dell’emergenza Covid e di un nuovo lockdown, si apriranno tra la fine di maggio e l’inizio di giugno. In attesa del nuovo programma operativo della Giunta Sala, previsto secondo alcune fonti per la fine di questo mese, ci si augura che vengano rilanciate le stesse strategie del “Piano di Trasformazione Digitale”, che continuerà a svilupparsi nei prossimi mesi – e fino al 2021 – attraverso 4 aree strategiche: Inclusione Digitale, Servizi ai Cittadini, Città Digitale, Milano Data Driven. Inoltre, a seguito di una nuova mappatura dei bisogni dovuta all’aggravarsi dell’emergenza Covid-19, è stata lanciata, a livello comunale, una nuova iniziativa, il “Digital Care”: il digitale che si prende cura della salute delle persone, in una visione strategica trasversale mobile first – one click che vede Milano come la prima città d’Europa a lanciare un servizio assistenziale di chatbot tramite WhatsApp.

In ogni caso, è prioritario che l’amministrazione che uscirà vincitrice dalle urne continui quel percorso di sostenibilità e di urbanistica tattica presente a più riprese nel “Bilancio di previsione del Comune per il 2020-2022”, approvato il 6 marzo 2020, che per la prima volta vede l’inserimento dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile definiti nel 2015 dall’ONU.

Non sarebbe la prima volta che una città europea decide di interpellare i cittadini, mediante consultazioni pubbliche (su modello open-government), proprio sulla realizzazione di opere a beneficio dell’intera comunità.  Un esempio virtuoso è quello di Barcellona, che con la piattaforma “Decidim”, non si è  limitata, come il caso di Milano, a proporre una riorganizzazione di alcuni spazi commerciali per adattarli alle disposizioni anti-Covid-19, ma va a decidere l’allocazione di veri e propri capitoli di spesa pubblica. Oppure, sarebbe interessante che le maggiori società partecipate del Comune adottassero una condotta in linea con le priorità pubbliche, soprattutto in termini di sostenibilità e di reali politiche green.

In conclusione, la città di Milano ha i mezzi e la possibilità di ampliare e potenziare una prospettiva human centered, ovvero quella in cui il cittadino è al centro. Ricordandoci che progettare con successo dispositivi digitali di uso quotidiano richiede una riflessione sull’essere umano nella sua essenza, dove semplicità e solidità, rilevanza culturale e ambientale, tempestività e continuità sono tutte priorità in competizione.

Il digitale dovrà essere sempre più presente nell’affiancare tutti i cittadini (con particolare attenzione alle categorie fragili) nelle necessità quotidiane, ampliando i servizi e costruendo una cultura inclusiva che garantisca a tutti l’accesso alla rete e fornisca le competenze per trarre i benefici delle nuove tecnologie.

Per raggiungere questo obiettivo, c’è bisogno di includere in un piano di formazione specifica sul digitale soprattutto due categorie di utenti: da un lato le nuove generazioni, nella doppia veste di consumatori e futuri elettori e cittadini; dall’altro, le fasce di popolazione più anziane, che più necessitano di strumenti di assistenza rapidi ed efficaci.

Per il rilancio della digitalizzazione delle città, ad esempio, il nostro Paese dovrebbe sfruttare l’occasione del PNRR – Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, per aumentare gli investimenti negli ecosistemi dell’innovazione incentrati su sistemi territoriali di ricerca e sviluppo, ricalcando un modello simile a quello dei “Fraunhofer” tedeschi.

L’Italia ha tra le mani un’occasione unica per sfruttare i fondi del Recovery Plan che, andando a beneficio dei cittadini, non potranno che transitare per la dimensione urbana, concretizzando la cultura della sostenibilità e del digitale in investimenti per il nostro futuro.

 

 

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