Corporate Political Responsibility (CPR) e transizione ecologica: perché sarà cruciale il ruolo delle imprese

La decarbonizzazione dei processi produttivi è una delle sfide fondamentali del nostro tempo, e non basteranno le politiche stabilite a più livelli a rendere effettivi cambiamenti epocali sul piano socioeconomico. Anche di questo si discuterà nel Forum Public Affairs, in programma il prossimo 25 maggio a Roma

 

Nelle scorse settimane abbiamo descritto come la Corporate Political Responsibility (CPR) rappresenti la nuova frontiera della sostenibilità d’impresa, andando oltre la Corporate Social Responsibility (CSR) e comportando per le aziende un ruolo più attivo nel contribuire al funzionamento dei nostri sistemi democratici e nel perseguire l’interesse generale.

Nel mondo di oggi, contrassegnato da cambiamenti sempre più profondi e veloci e da un grado di consapevolezza delle opinioni pubbliche mai conosciuto prima d’ora, le imprese sono chiamate a perseguire obiettivi che vadano oltre la sola massimizzazione dei profitti e a prendere coscienza del loro ruolo puramente politico (in una concezione della politica ben diversa dalle polemiche tra partiti cui siamo abituati) in quanto contribuenti, datrici di lavoro, soggetti di innovazione e portatrici di interessi presso i decisori pubblici.

 

LE IMPRESE SONO CHIAMATE A PRENDERE COSCIENZA DEL LORO RUOLO POLITICO

Ciò appare quanto più evidente se si pensa alle principali sfide del nostro tempo, prima tra tutte la transizione verso la decarbonizzazione dei processi produttivi. Solo per fare un esempio di stretta attualità, è di pochi giorni fa la notizia della pubblicazione dell’ultimo report dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) delle Nazioni Unite, nel quale gli studiosi componenti dei diversi tavoli di lavoro del Panel hanno invitato i governanti mondiali a mettere in campo, da subito e a tutti i livelli, ogni iniziativa utile a ridurre le emissioni di gas climalteranti e a contenere l’aumento della temperatura terrestre entro un grado e mezzo rispetto all’era pre-industriale.

 

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Per andare in questa direzione, sono state pianificate e adottate politiche a tutti i livelli: si va infatti dall’Accordo di Parigi raggiunto nel 2015 nel contesto della Conferenza Onu sui cambiamenti climatici (COP), per poi arrivare ai target dell’Ue al 2030 e al 2050 finalizzati a raggiungere la neutralità climatica per il Continente e, sul piano nazionale, al Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e al Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (PNIEC) 2030.

In altri termini, la transizione ecologica implica un ripensamento dalle fondamenta del nostro sistema economico e del nostro modo di vivere, muoverci e consumare. Se ci si riflette con calma, non esiste settore che non sarà interessato dalle trasformazioni radicali che dovranno avere luogo nei prossimi 20/30 anni: dalla generazione di energia ai trasporti, dall’edilizia all’agricoltura, dalla finanza all’industria, e ciò avrà inevitabilmente ripercussioni sugli equilibri sociali, con il rischio che si accentuino le disuguaglianze tra territori e fasce di popolazione (da qui, ad esempio, la decisione dell’Unione europea di dare vita al Just Transition Mechanism e al Just Transition Fund).

Di fronte a cambiamenti di questa portata, certamente spetta alle entità sovranazionali e ai Governi nazionali tracciare la rotta da seguire, ma dovranno essere le aziende e gli altri attori economici ad attuare in senso stretto la decarbonizzazione, contribuendo in questo modo a garantire un futuro migliore al pianeta.

DECARBONIZZAZIONE: TOCCHERÀ ALLE AZIENDE ATTUARE LE POLITICHE NAZIONALI E SOVRANAZIONALI

Una prima dimostrazione, anche se non direttamente legata al contrasto dei cambiamenti climatici, del ruolo che le imprese possono giocare nella definizione delle politiche energetiche è stata fornita dalla rapida sostituzione delle forniture di gas provenienti dalla Russia, in seguito all’invasione dell’Ucraina e allo scoppio del conflitto tuttora in corso. Nei Paesi maggiormente dipendenti da Mosca, gli operatori del gas sono stati improvvisamente chiamati a trovare soluzioni alternative agli accordi sottoscritti per anni con Gazprom e, nel caso dell’Italia, si è arrivati in pochi mesi all’individuazione di un mix alternativo di Paesi dai quali approvvigionarsi e di soluzioni differenti anche sul piano infrastrutturale, come testimoniato dall’acquisto in tempi record di due navi rigassificatrici. Così facendo, le forniture di gas per il biennio 2023-2024, che in un primo momento sembravano a rischio con il pericolo di pesanti ripercussioni sulla continuità dei sistemi produttivi e sulla funzionalità dei riscaldamenti domestici, dovrebbero essere ormai al riparo da minacce o imprevisti.

Di esempi dell’importanza del contributo che le aziende saranno chiamate a offrire alla transizione ecologica se ne potrebbero fare altri ancora, basti pensare al Regolamento Ue appena approvato sullo stop ai motori endotermici a partire dal 2035. Un’occasione per riflettere e confrontarsi su questi argomenti sarà offerta dal panel “Dalla crisi del gas ai cambiamenti climatici: perché la transizione energetica non può prescindere dalla responsabilità delle imprese, nell’ambito del Forum Public Affairs in programma a Roma il prossimo 25 maggio nella cornice di Palazzo Wedekind, durante il quale Adl Consulting presenterà il report “Corporate Political Responsibilty: Challenging Lobbying and Sustainability”.

 

Un primo esempio dell’importanza delle imprese in campo energetico si è avuto con la crisi del gas seguita allo scoppio della guerra in Ucraina, e altri casi emergeranno in futuro. Il prossimo 25 maggio ci sarà occasione di discutere questi temi durante il Forum Public Affairs, organizzato da Adl Consulting in collaborazione con Comunicazione Italiana.

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